L’INFERRIATA, di Laura Di Falco

Letteratitudinenews.wordpress.com – Simona Lo Iacono, 15 febbraio 2013

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Il sole cola a picco sulle pietre. Le arrossa, le ingravida, le riempie della sua stessa sostanza: luce. Poi le lascia, ma le pietre non dimenticano. Restano a barbagliare dei raggi che hanno bevuto,  ardenti anche nella notte.
E’ Ortigia. L’isola di pietra, lo “scoglio”.
Qui si è svolta tutta la storia della città di Siracusa, dal v secolo a.c al dopoguerra. Qui hanno smerciato gli ebrei, hanno pregato gli arabi, hanno poetato i greci. E qui la nobiltà baronale ha vissuto fino alla metà del novecento, nei palazzi dalle corti d’arenaria, nei salotti buoni e costellati di consolle a specchi, felpando il passo sui pavimenti cigolanti ma impreziositi dalle scene accecanti dei mastri di Caltagirone.
Una vita circoscritta dal mare, dalle invisibili barricate sociali, dalle usanze delle buone famiglie e dai segreti da non confessare. Un piccolo mondo, insomma, dove pietre e cristiani hanno pari cittadinanza, e in cui la decadenza delle une coincide con il declino degli altri.
Qui vive Diletta, studentessa all’ultimo anno di liceo, che cresce tra le sale affrescate del grande palazzo di famiglia e tra le strade ammalorate dallo sfascio  che sta per travolgere lo scoglio, abbandonato dai cittadini per andare ad abitare al di là del mare, nella città nuova, la città di cemento.
Una città senza storia e senza  gerarchie, quella nuova, però, dove riconoscersi è impossibile, dove le case non hanno pareti gonfie d’umido ma termosifoni, e dove i solai reggono al tempo, senza lasciar cadere giù pericolanti lampadari di murano. Una città che segna cioè i tempi che avanzano, la vita che cambia e diventa moderna, con buona pace delle famiglie nobiliari.
Ortigia diventa così regno di ombre, di macerie che avanzano e che nessuno ha più voglia né interesse a mantenere in piedi, luogo di fantasmi che si aggirano spaesati e senza memoria, sfrattati dalla loro identità, dal loro passato.
La vicenda  di Diletta diventa allora la storia del tempo e delle sue inevitabili rovine, della famiglia che si evolve, dei costumi che mutano.
Non a caso siamo a metà tra gli anni sessanta e settanta e pare che si stia  scavando tra il tempo che è stato e quello che sarà, un muro mai più valicabile, una gigantesca inferriata.
“L’inferriata” è infatti il titolo del libro di Laura Di Falco, finalista al premio strega nel 1976, ed adesso riedita da Verba volant.
Con uno stile immaginifico e secco a un tempo, la scrittrice sgretola le apparenze, racconta i cambiamenti della fine del novecento, si fa cronista delle sfaldature del destino.
Chiedo quindi all’editrice, Fausta  Di Falco (nipote della scrittrice), di parlarci di quest’ opera di recupero, di questo libro che è un omaggio alla capacità  di fare dei luoghi (Ortigia) e del tempo che scorre il vero protagonista della storia.

Fausta, cosa ha significato per te ripubblicare Laura Di Falco?
E’ un progetto che serbo da tempo; da quando faccio questo lavoro c’è sempre qualcuno che mi chiede se sono imparentata con lei, che ne tesse gli elogi e che si rammarica di non trovarla più in libreria. Ripubblicare questo libro mi ha dato profonda gioia, e devo dire non soltanto a me. Anche la figlia Maruzza ha accolto con tanto entusiasmo il progetto e mi è stata vicina in tutte le fasi della lavorazione, fornendomi aiuto prezioso. L’inferriata è il primo dei vari romanzi di Laura che ho letto non ancora adolescente, ed è per questo che ho voluto riproporlo per primo; è forse quello che ho più nel cuore.

-Parlaci di questa scrittrice che negli anni settanta ebbe una notevole fortuna. Chi è Laura Di falco?
Laura era la zia di mio padre e ho avuto la fortuna di incontrarla a Roma, dove viveva da tanti anni assieme al marito Felice. Una donna energica, che aveva conosciuto il successo letterario e che aveva coltivato amicizie importanti. Faceva parte del circolo degli “Amici della Domenica”, è stata recensita favorevolmente persino dal premio nobel Eugenio Montale. Ha esordito nel 1950 con un racconto apparso su Il Mondo, diretto da Pannunzio. Il suo primo libro, che la consacra scrittrice, Paura del giorno, ottenne uno straordinario successo di pubblico e critica, e uscì per i tipi Mondadori. L’inferriata, prima edizione Rizzoli 1976, è stato finalista al Premio Strega.
Una donna di questo tipo non poteva che esercitare su di me un grandissimo fascino. Ero ancora piccola, non pensavo che sarei diventata un editore, ma il ricordo che ho di lei è ancora vivissimo. Penso che avrebbe appoggiato il nostro progetto editoriale.

-E che significato ha leggere – oggi – “L’inferriata?”
L’inferriata è un romanzo senza tempo; è sì ambientato nella Siracusa della fine degli anni ’50, quella dell’avvento dell’industrializzazione, ma Siracusa può essere qualsiasi città, e lo stato di straniamento e smarrimento derivati da un periodo di crisi può essere rintracciato in tutti i tempi ed è oggi, più che mai, dolorosamente attuale.

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