“L’inferriata” di Laura Di Falco

Flaner.com – Chiara Gulino, 25 febbraio 2013

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“U Scogghiu”, così gli abitanti di Ortigia, «sangue e cuore della vera Siracusa», soprannominano «ora con orgoglio ora con affettuoso compatimento» la loro isola, al tempo dei greci centro politico e amministrativo dove aveva sede il palazzo del tiranno. Qui, fino alla metà del Novecento, è sopravvissuto un «mondo proibito ai più costituito dagli ultimi palazzi nobili rimasti ancora in piedi». Il confine naturale del mare separava infatti il nuovo, il moderno ancora in fasce negli anni Cinquanta, rappresentato dalla città di cemento, da una cultura, quella degli ultimi baroni siciliani, in via di estinzione, recalcitrante dall’acquisire la terribile consapevolezza che quel sistema di valori e di gerarchie a lungo perpetrato e da loro difeso, in un futuro assai prossimo, non sarebbe stato più rispettato.

Di questo declino parla il romanzo L’inferriata (Verbavolant 2012) di Laura Di Falco, uscito per la prima volta per i tipi di Rizzoli nel 1976 e finalista quello stesso anno al Premio Strega, nonché recensito con favore da Eugenio Montale. Lo ripubblica ora la nipote della dimenticata scrittrice siciliana, Fausta Di Falco, compiendo un’opera di recupero che è insieme un omaggio e un gesto di nostalgico affetto per luoghi e persone.
Laura Di Falco fece parte del circolo degli “Amici della Domenica” ed esordì nel 1950 con un racconto apparso su Il Mondo di Pannunzio. Ma il suo primo libro che fu anche un grande successo di pubblico fu Paura del giorno (Mondatori 1954).
L’inferriata è la storia di un amore all’inizio vietato, perché metteva in discussione ogni convenzione, di una giovane rampolla, la liceale Diletta De Marco, per un ragazzo dai non nobili natali: «Per trovare un compenso immaginò che di Mario non fosse rimasto che il corpo, svuotato d’ogni suo pensiero e convincimento. Quel corpo, tuttavia, l’attirava a sé, incondizionatamente, la liberava da ogni problema, diventava l’unica isola di approdo». Quest’amore, che si inserisce in un contesto di tensioni familiari, proprio quando non sarà più ostacolato svanirà. Quando infatti Mario Denaro verrà introdotto da fidanzato ufficiale in famiglia il suo mutato e conformistico comportamento ripugnerà Diletta al punto da costringerla a rifiutarlo per la disperazione della sua ansiosa quanto anaffettiva madre Emma.

Ma L’inferriata è soprattutto romanzo sul mutamento dei costumi nell’Italia del profondo Sud alla fine degli anni Sessanta, quando dal continente provenivano gli echi di grandi eventi: il primo uomo che tocca il suolo lunare, l’industria che avanza e il boom economico. Nel cuore dell’isola ormai sono evidenti invece i segni materiali del disfacimento. Ne è simbolo il lampadario di Murano caduto e frantumatosi in mille pezzi nella camera gialla della nonna di Diletta dalle pareti affrescate, su cui si focalizza significativamente ad apertura di romanzo la scrittrice: «[…] la sorte dell’immenso lampadario di Murano, gioia degli occhi al primo risveglio del mattino degli antichi marchesi che avevano abitato tanto tempo prima nel palazzo, era segnata».
Di questo passato ne è soprattutto custode la nonna, «generalessa dell’esercito familiare, disseminato fra i vari palazzi di Ortigia attraverso varie figliolanze e complicati intrecci di parentele, sovrintendente agli avvenimenti non solo interni, ma anche esterni al palazzo, nell’arduo compito assurto ormai a missione di tenere alto l’ultimo prestigio della nobiltà dello Scoglio, contro l’espandersi prepotente della città nuova di cemento oltre il ponte della Darsena».
Tra onore e prestigio da rispettare, un’eredità da salvaguardare dall’assalto di sorelle e parenti indebitati e prospettive di enormi e nuovi guadagni legati al turismo, vediamo muoversi il padre di Diletta, Gino De Marco, rappresentante della arricchita borghesia e quindi suo malgrado minaccioso germe della purezza di nobiltà della famiglia della moglie. In tutto questo la felicità di Diletta passa in secondo piano mentre è facile riconoscere quei meccanismi di corruzione e favoritismi non ancora tramontati nel bel Paese.
Con una scrittura immaginifica che fa dell’isola siracusana un luogo anacronistico di rovine gravide di umidità e ombre fuori dal tempo, Laura Di Falco ci lascia ascoltare gli ultimi sussulti del mondo di ieri, il mondo dei Viceré di De Roberto.

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